Cari ragazzi e cari lettori, ecco a voi il terzo capitolo di "Storie di numeri di tanto tempo fa". Qualcuno a scuola era impaziente. Adesso è accontentato...
Buona lettura!
STORIE
DI NUMERI
DI TANTO TEMPO FA
di David Eugene Smith
(Traduzione di Anna Cascone)
CAPITOLO III
Come Hippias, Daniel e Titus scrivevano i numeri
«Qual è la storia di stasera?» chiese Burlona non appena entrò nella stanza e si mise all’inpiedi davanti al fuoco, mentre la Folla accostava le sedie.
«Storia? Chi ha detto che ci sarà una storia?» chiese quello dallo strano libro dopo aver girato un’altra pagina.
«Ci racconti sempre una storia» rispose Burlona. «Non ce ne siamo persi nenache una da quando abbiamo iniziato.»
«Ma abbiamo iniziato solo due sere fa.»
«Sì, e con questa fanno tre» disse George.
«Ma ci dobbiamo fermare qualche volta» rispose il Cantastorie, «e questa è la volta buona.»
«Oh, ci sono ancora tante cose che vogliamo sapere» disse Burlona.
«Cosa vorresti sapere?»
«Quello che ci racconterai» rispose Burlona.
«Allora,» disse il Cantastorie, «questa storia parla di Hippias, Daniel e Titus.»
E questa è la storia che raccontò.
Molti anni dopo che Chang aveva imparato a scrivere i numeri a casa sua sulle rive del fiume Giallo, Lugal in Mesopotamia e Ahmes nei pressi del tempio sul Nilo, viveva in Grecia un ragazzo noto con il nome di Hippias.
Il mondo adesso invecchiava abbastanza da avere i soldi da utilizzare nei negozi. In questo modo i mercanti non solo barattavano le loro mercanzie come facevano ai tempi di Chang, Lugal e Ahmes ma le vendevano per monete di rame e d’argento. Questo è il motivo per cui c’era un maggiore bisogno di numeri rispetto ai secoli scorsi. Hippias giocava vicino all’Acropoli ad Atene e imparò come i mercanti scrivessero i numeri su un rotolo di pergamena. Non solo erano stati inventati nuovi modi di scrivere i numeri ma era stato inventato qualcosa di nuovo su cui scrivere. Per un po’ la gente provò ad utilizzare lunghe strisce di pelle cucite assieme e arrotolate e su di esse scrivevano con un pennello bagnato nell’inchiostro nero. Poi scoprirono che potevano sbiancare e rendere più resistenti le pelli di pecora e di vitello in modo da renderle più adatte alla scrittura. Ciò venne fatto per la prima volta in una città chiamata Pergamon, nell’Asia Minore, e dal nome di questa città deriva la parola “pergamena”. Fu molti secoli dopo Hippias che il mondo cominciò ad utilizzare la carta.
Hippias imparò a scrivere i numeri sulla pergamena, utilizzando i caratteri greci che erano molto diversi dai nostri numerali.
Se Hippias voleva scrivere un numero tipo 2977, doveva utilizzare quindici lettere greche; quindi capite che l’aritmetica deve essere stata molto più difficile per i ragazzi greci di quanto non lo sia per voi.
Con il passare degli anni, ci fu un tempo in cui la gente sentiva il bisogno di un modo più semplice per scrivere i numeri da usare nei negozi di Atene. Dovette nascere un altro piccolo Hippias, non più tardi di quando Paolo predicava ad Atene circa duemila anni fa e scriveva su un rotolo di pergamena le lettere dell’alfabeto greco per rappresentare i numeri. Il nome greco della prima lettera era alfa e la seconda lettera veniva chiamata beta. Quando Hippias imparò l’ABC, in realtà imparò l’alfa-beta e da questo nome deriva oggi la parola “alfabeto”.
Mentre Hippias imparava a scrivere i numeri ad Atene, un ragazzo di nome Daniel viveva alle pendici del Monte degli Ulivi. Questo ragazzo si recava tutti i giorni a Gerusalemme con la frutta che suo padre vendeva al mercato. Doveva sapere scrivere i numeri in quanto doveva scrivere il prezzo dei meloni e dei fichi su piccole tavolette e metterle sul banco della frutta del padre. Fu per questo motivo che il padre di Daniel gli insegnò i numeri più piccoli che tutti dovevano conoscere. A quei tempi, tuttavia, la gente non aveva granché bisogno di numeri superiori a dieci; raramente venivano usati i numeri superiori a qualche migliaio.
I numerali che Daniele aveva imparato erano solo le prime lettere dell’alfabeto greco.
Potete immaginare che questo modo di scrivere i numeri deve aver reso le moltiplicazioni e le divisioni molto difficili.
Mentre Hippias giocava per le strade di Atene e Daniel trasportava la frutta dal Monte degli Ulivi a Gerusalemme, Titus giocava per le strade di Roma e frequentava una scuola vicino al grande Foro della città.
Il maestro mostrava ai ragazzi il modo in cui gli antichi romani scrivevano i numeri e gli insegnò anche i numerali che venivano usati nei negozi di Roma.
Se Titus avesse voluto scrivere un numero superiore a un milione, avrebbe avuto molti grattacapi visto che a quei tempi la gente aveva raramente bisogno di numeri superiori a qualche centinaio e a qualche migliaio. Probabilmente Titus avrebbe scritto un numero così grande a lettere.
Quando vediamo i numerali romani su un orologio da polso o da parete, dovremmo sapere che l’Europa li ha utilizzati fino alla scoperta dell’America. Non erano di alcun aiuto nelle moltiplicazioni e nelle divisioni ma lo erano abbastanza per scrivere numeri piccoli usati negli scambi commerciali quotidiani.
A Titus piaceva dare grattacapi ad un amichetto di nome Caius, e un giorno gli fece questa domanda: «Qual è quel numero che diventa superiore a uno se ci togli uno?»
«Testa di legno» rispose Caius.
Ma quando Titus scrisse IX sulla strada di pietra e disse a Caius, «ora togli I e dimmi cosa rimane», Caius vide che in quella testa di legno c’era qualcosa di buono dopotutto.
Allora Caius, notando che avrebbe dovuto pensare a molti altri numeri che fossero adatti a quel giochino, fece la seguente domanda: «Qual è quel numero che diventa superiore a dieci se ci togli dieci?»
Titus chiese a Caius se sapeva che la metà di nove fosse quattro e Caius gli rispose che se lo stava sognando. Ma Titus puntò di nuovo sul IX e chiese a Caius di togliere la metà superiore, così vedeva se non era quattro. Allora Caius gli disse di potergli dimostrare che la metà di dodici era sette.
«Non è niente a confronto» disse Titus; «la metà di tredici è otto.»
«Troppo facile», disse Caius, «ma riesci a togliere cento da quattrocento e avere cinquecento?»
«Penso di avervi detto abbastanza per questa sera», disse il Cantastorie. «Quanti di voi sono in grado di dimostrare che la metà di dodici è sette?»
«Io» disse Emily.
«Anche io» disse un’altra mezza dozzina.
«Quanti di voi sono in grado di dimostrare che la metà di tredici è otto?»
«Tutti quanti» disse la Folla.
«Chi è in grado di dimostrare che Caius tolse cento da quattrocento e gli rimase cinquecento?»
Nessuno ci riuscì. Voi ci riuscireste?
«Chi conosce altri strani rompicapi sui numerali romani?»
«Tutti quanti» disse la Folla.
«Allora,» disse il Cantastorie, «penso che fareste meglio a compilare la Sezione Domande.»
«Se la compiliamo ci racconterai un’altra storia domani sera?» chiese Charles.
«Be’, se non la compilate, certamente non ci sarà un’altra storia» disse il Cantastorie.
SEZIONE DOMANDE
1. Ai tempi di Hippias cosa si usava per scrivere al posto della carta?
2. Perché l’invenzione dei soldi ha reso necessario che la gente sapesse contare e operare con i numeri?
3. Perché i numerali usati da Hippias non erano così convenienti come quelli usati da noi?
4. Cosa significa la parola “alfabeto” e come si lega all’espressione “imparare l’ABC”?
5. Il modo usato da Daniel per scrivere i numeri si avvicinava di più a quello di Hippias o a quello di Titus? Perché non era adatto come il nostro?
6. Quanti modi conoscete per scrivere il numero quattro a numeri romani?
7. Perché i numeri romani non sono adatti a fare i calcoli come invece lo sono i nostri?
8. Dove avete visto l’utilizzo pratico dei numeri romani, al di fuori dell’attività scolastica?
9. Se non sapeste utilizzare i nostri numerali, quali preferireste utilizzare tra quelli che avete letto?
10. Titus e Caius hanno scoperto delle cose divertenti legate ai numerali. Caius ha detto di poter dimostrare che la metà di dodici è sette. Come ha fatto? Riuscireste, allo stesso modo, a dimostrare che la metà di tredici è otto?
RAPPRESENTAZIONE DEI NUMERI CON LE MANI
Tratta da un libro stampato quasi quattrocento anni fa. Essa illustra il modo in cui venivano rappresentati i numero con le mani.
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Già pubblicati
Prefazione 1 e Prefazione 2